domenica 23 marzo 2025

EUTANASIA: IL VOLTO MOSTRUOSO DI UNA FALSA PIETA' ( Da Evangelium Vitae, nn 15 44-67)

L'EUTANASIA: IL VOLTO MOSTRUOSO DI UNA FALSA PIETÀ (Evangelium Vitae, nn. 15.64-67) "Eutanasia" significa letteralmente «buona morte». Ma come può essere buona la morte? Il discorso diventa ambiguo ed altamente equivoco fin dal suo inizio. Non si tratta forse di una maschera benevola, con cui si vuole coprire e addomesticare un destino sinistro e ineluttabile? 1. La retorica della "buona morte" Un tempo, quando si parlava di "buona morte" e si pregava quotidianamente Dio di concederci una buona morte, si intendeva una morte "in grazia di Dio", cioè una morte che ci cogliesse pronti per l'incontro supremo col mistero di Dio. Ci si augurava dunque di potersi preparare, coscientemente, al passo ultimo, di poterlo vivere come il culmine della propria esistenza terrena, in pace con Dio e con gli uomini, affidando il testimone delle proprie consegne' ai figli e agli amici. Oggi, quando ci si augura una buona morte si intende piuttosto una morte priva di sofferenze, improvvisa e senza coscienza del dramma: la morte "dolce" è quella libera da dolori fisici e da angosce spirituali, una morte che ti porta via quasi senza che tu lo sappia. Il cambiamento di senso in un'espressione comune è indice di un mutamento profondo nel modo di concepire il vivere e il morire. È chiaro che nel contesto immanentistico di un'esistenza, che viene ritenuta esaurirsi in un orizzonte puramente terreno, «prevale la tendenza ad apprezzare la vita solo nella misura in cui porta piacere e benessere, la sofferenza appare come uno scacco insopportabile, di cui occorre liberarsi ad ogni costo. La morte, considerata assurda se interrompe una vita ancora aperta ad un futuro ricco di possibili esperienze interessanti, diventa invece una liberazione rivendicata quando l'esistenza è ritenuta ormai priva di senso perché immersa nel dolore e inesorabilmente votata ad un'ulteriore e più acuta sofferenza» (EV, n. 114). Così si invoca il «diritto alla buona morte», oppure il diritto a «morire con dignità» e con tutto ciò si intende anche il diritto a darsi la morte, quando si giudica ormai la vita come insostenibile e indesiderabile. Oppure anche: il diritto a dare una buona morte a chi soffre, magari per compassione; «per non vederlo più soffrire», dunque: per compassione di chi? Della sua o della nostra sofferenza? Ascoltiamo dunque, con senso critico, la proposta contenuta nel manifesto programmatico a favore dell'eutanasia, stilato nel 1974 da un gruppo di personalità, tra cui alcuni scienziati insigniti del premio Nobel: «Noi crediamo che la coscienza morale sia abbastanza sviluppata nella nostra società per permetterci di elaborare una regola di condotta umanitaria per quanto riguarda la morte e i morenti. Deploriamo la morale insensibile e le restrizioni legali che ostacolano l'esame di quel caso etico che è l'eutanasia. Facciamo appello all'opinione pubblica illuminata, perché superi i tabù tradizionali e abbia compassione delle sofferenze inutili al momento della morte... Ogni individuo ha diritto a morire con dignità. (...) Affermiamo che è immorale tollerare, accettare o imporre la sofferenza. Crediamo nel valore e nella dignità dell'individuo: ciò implica che lo si tratti con rispetto e lo si lasci libero di decidere ragionevolmente della propria sorte... In altri termini: bisogna fornire il mezzo di morire dolcemente e facilmente a quanti sono afflitti da un male incurabile o da lesioni irrimediabili, giunti all'ultimo stadio... È crudele e barbaro esigere che una persona venga mantenuta in vita contro il suo volere e che gli si rifiuti l'auspicata liberazione, quando la sua vita ha perduto qualsiasi dignità, bellezza, significato, prospettiva d'avvenire. La sofferenza inutile è un male che dovrebbe essere evitato nelle società civilizzate» (The Humanist). Mi sembra importante sottolineare due affermazioni ricorrenti in questa retorica della morte e che costituiscono rispettivamente il presupposto e il fondamento della rivendicazione di un diritto all'eutanasia, inteso come diritto a darsi la morte, assistiti da un medico, per poter morire con dignità: 1) la sofferenza è inutile; 2) l'uomo ha diritto di decidere della propria vita e della propria morte, perché ne è l'unico padrone. Ecco dunque l'equivoco del discorso: la morte è prima di tutto un fatto e non un diritto. Si ha diritto di ciò di cui si può disporre. E invece la morte è proprio l'indisponibile e l'ineluttabile'. La pretesa di autonomia insita nella richiesta della buona morte manifesta, proprio in queste sue incongruità, la presenza di una censura radicale alle sue radici. Si vuole dimenticare qualcosa, pretendendo il« diritto a morire. Forse si vuol dimenticare che all'origine la vita è un dono. Quella della "buona morte" si rivela dunque come una retorica della morte nel duplice senso che l'espressione può avere se la si intende come un genitivo oggettivo (retorica sulla morte, come oggetto di un discorso formale e vuoto) oppure come un genitivo soggettivo (allora è un discorso persuasivo che la morte ci propone per convincerci ad abbracciarla). "Retorica" significa infatti un discorso formale e senza vero impegno, discorso pieno di apparenti e allettanti motivi, ma in fondo vuoto e senza ragioni, discorso pericoloso, perché tenta di catturare l'interlocutore e di convincerlo e avvincerlo in una logica speciosa e ingannevole. Quello sull'eutanasia è il discorso che la cultura della morte ci propone in un tentativo senza fondamento di addomesticare la morte, di appropriarsene perché non spaventi più. Ma qui più che diventare nostra la morte, siamo noi a diventare suoi. In un tragico paradosso, la si cerca di possedere lasciandoci inghiottire da lei, gettandosi nelle sue fauci. Così davvero quello dell'eutanasia diventa il discorso della morte che ci incanta per farci suoi, dentro una storia in cui la vera vincitrice è lei. Un discorso di morte, che ci persuade alla morte, che affascina e stordisce, convincendoci del nulla anche della vita. 2. Una risposta sbagliata ad una domanda vera Ma anche noi vogliamo evitare la retorica che maschera il vuoto e intende solo ammaliare l'interlocutore. Per evitarla occorre dunque innanzitutto ascoltare il problema umano che è sotteso. Solo dopo l'ascolto, profondo e senza censure, sarà possibile giudicare se l'eutanasia è risposta a questo problema, nella luce della verità dell'uomo e così impegnarci a vivere per noi e per gli altri una risposta vera. Solo a queste condizioni il nostro parlare non è vuota retorica. Ripercorrendo la lettura della Sacra Scrittura insieme con Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Salvifici doloris, ci siamo messi in ascolto del grido di Giobbe e, in lui, di ogni uomo che soffre e che si interroga sul mistero della vita e della morte. La malattia e la sofferenza, con la prospettiva della morte, sono per l'uomo anzitutto una prova radicale: una prova per l'uomo e una prova dell'uomo davanti a Dio. La domanda di guarigione di fronte alla minaccia della morte contiene in sé una richiesta più radicale: è un'implorazione di salvezza, di destino, di futuro. È una domanda acuta e drammatica, che sta in bilico, come si è già detto, tra la supplica e la bestemmia. Eppure, anche dentro la prova difficile della sofferenza, la supplica è la posizione umanamente più ragionevole, perché non deve dimenticare e rinnegare niente dell'esperienza umana. E dell'esperienza umana fa parte anche la promessa originaria di bene, con cui la vita si schiude e, soprattutto, l'evidenza che la nostra vita non viene da noi, ma ci è comunicata come un dono. In Gesù il grido dell'uomo è diventato il grido di Dio: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Affidando il proprio grido a Gesù crocifisso, il cristiano, come il buon ladrone, impara a guardare oltre se stesso, a riconoscere «il volto buono del mistero che fa tutte le cose»4, a chiamarlo col nome di Padre e ad accettare la sua volontà. Impara così ad offrire la sua sofferenza e la sua morte, partecipando al sacrificio redentivo del Signore. Impara a vivere la propria morte come atto supremo di amore, come Eucaristia, nella quale ci si dona, abbracciando per amore ciò che il Padre ci chiede. 3. Definizione e valutazione etica dell'eutanasia Ecco quindi la definizione che Evangelium vitae propone di eutanasia, rifacendosi ad un precedente documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1980 sul tema. «Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un'azione o un'omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L'eutanasia si situa dunque a livello delle intenzioni e dei metodi usati» (EV, n. 65). È quindi un'uccisione intenzionale, attuata con metodi indolori, provocata dalla pietà. A livello di metodo usato: si dà eutanasia quando si somministra qualcosa che provoca la morte oppure quando ci si astiene dal praticare terapie ordinarie ancora utili, cioè medicalmente proporzionate a contrastare una patologia in atto. C'è quindi una eutanasia attiva, che provoca la morte con un'azione, ed un'eutanasia passiva, che la vuole anticipare mediante l'omissione di un intervento giusto e proporzionato verso il malato Un tempo, nell'etica medica, si faceva in proposito la distinzione tra mezzi ordinari, sempre doverosi, e mezzi straordinari, per curare le malattie. Oggi, con la Dichiarazione prima menzionata Jura et bona, si preferisce parlare di impiego di mezzi proporzionati oppure di mezzi sproporzionati. Emerge qui il concetto di "accanimento terapeutico", che si ha quando gli interventi medici sono sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare e impongono inutili sofferenze o pesi eccessivamente gravosi ai familiari o alla società. La morte come Eucaristia L'Eucaristia è l'atto decisivo di Gesù, quello nel quale egli anticipa la sua morte e la accoglie in obbedienza dalle mani del Padre e così la trasforma in un atto di amore, nel suo donarsi per sempre agli uomini, perché abbiano la vita". Partecipando all'Eucaristia e conformando ad essa la sua libertà, il cristiano impara che il senso autentico della vita è il dono di sé nell'amore e che «non c'è amore più grande di quello di chi dà la propria vita per i suoi amici» (Cv 15, 13). Così nell'Eucaristia e nell'amore vissuto egli anticipa la propria morte e si prepara alla morte come consenso alla volontà del Padre, nell'ora da lui voluta, e come dono di sé. Egli vive il vivere e il morire come appartenenza a Dio e come obbedienza filiale al Padre. L'eutanasia costituisce l'antitesi perfetta dell'Eucaristia in quanto propone un'attività e una pretesa autonomistica laddove la libertà dovrebbe conformarsi obbedendo (accettare 1`ora" della morte), mentre in realtà rende passivi e sconfitti di fronte al grande gesto di consenso e di amore in cui può essere trasformato anche il nostro morire. Nel morire del cristiano si evidenzia il suo affidamento al Padre e al Figlio per mezzo dello Spirito, che trasforma, attraverso la presenza sacramentale, l’ultimo atto come offerta filiale, Eucarestia nel senso pieno. In questo rendendo così ragione all’antropologia iconica dell’immagine e della somiglianza in cui si è creati. Dr.Don Roberto Valeri nota 1 L.Melina, Evangelium Vitae, Casale Monferrato 1996, pp 206-2023

lunedì 22 gennaio 2024

Intervista de "LA VOCE DI MANTOVA" sul Sistema Sanitario Nazionale


 INTERVISTA DE “LA VOCE DI MANTOVA”  a don Marco Belladelli, Coordinatore della Pontificia Commissione per le Attività del Settore Sanitario delle Persone Giuridiche Pubbliche della Chiesa PER IL 45° ANNIVERSARIO DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

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Lei è un manager in abito talare con la responsabilità di coordinare oltre 200 ospedali religiosi su tutto il territorio italiano. Che differenza c’è tra un ospedale pubblico e uno religioso?

«Un recente censimento svolto dalla Pontificia Commissione per le Attività del Settore Sanitario delle Persone Giuridiche Pubbliche della Chiesa, di cui sono Coordinatore, ha evidenziato che l’attività sanitaria della Chiesa in Italia conta 350 strutture, suddivise in 228 territoriali (RSA; RSD; Centri diurni; ambulatori; hospice; ecc.); 64 di ricovero (ospedali classificati; case di cura; istituti di ricerca; policlinici; ecc.) e 58 centri di riabilitazione, a cui vanno sommate altre realtà con diverso profilo giuridico, ma ugualmente ispirate cristianamente e partecipi della missione della Chiesa. Va sempre ricordato infatti che la ragione fondamentale della presenza della Chiesa in ambito sanitario è intrinsecamente legata alla missione che il Signore Gesù le ha affidato, e cioè annunciare il Vangelo attraverso una testimonianza misericordiosa verso malati e sofferenti. Nel complesso parliamo di circa il 7% della attività sanitaria del Paese. I promotori di questa attività sono 45 Istituti Religiosi maschili e femminili e 35 Diocesi.

Incontro di Spiritualità al Bonus Pastor di Roma

Marco Belladelli

TESTIMONI DI FEDE

Roma, 21 Gennaio 2024.

 Premessa

Capita spesso di essere interrogato sui tempi che stiamo vivendo, in modo particolare per quel che riguarda la Chiesa, dentro e fuori di essa, il suo presente, il suo futuro, i suoi orientamenti, e via dicendo … Domande che lasciano trasparire un senso di smarrimento e di inquietudine spirituale, quanto mai enfatizzati in questo particolare momento per le conseguenze della pandemia non ancora del tutto superata, dei conflitti armati in essere e dei cambiamenti umani, sociali e culturali dei nostri tempi.   

mercoledì 25 ottobre 2023

DONNE IN GRAVIDANZA

 Cari farmacisti come possiamo aiutare le donne in gravidanza?

Dando alla donna il cartoncino che invita le donne che hanno difficoltà per una gravidanza a rivolgersi al CAV Mangiagalli di Milano per ricevere un aiuto. 


Puoi consultare il sito www.cavmangiagalli.it per vedere le attività che vengono svolte dal CAV per aiutare le donne sotto il profilo psicologico e materiale. Al CAV la donna trova il consulente familiare, lo psicologo, l'ostetrica, l'educatrice perinatale, la pedagogista, il ginecologo, l'assisternte sociale, un aiuto materiale con i prodotti per io bambini ecc. ecc.

Le Farmacie impegnate a sostenere le donne in gravidanza potrebbero richiedere al CAV i cartoncini.  Il farmacista sa a chi consegnare il cartoncino. Sarà poi la donna che si rivolgerà al CAV Mangiagalli di Milano.

 





mercoledì 30 agosto 2023

INVITO A PROIEZIONE FILM "LE COSE CHE AMIAMO DI ALE" TEATRO MANZONI MILANO: 29/09/2023

 

Carissimi amici,

i farmacisti cattolici sono stati invitati dal Prof Giorgio Lambertenghi (Presidente del Comitato Scientifico dell’Associazione "Beat Leukemia” e membro del Consiglio direttivo della Fondazione “Beat Leukemia) alla proiezione del film “Le cose cha amiamo di Ale”, realizzato dal libro di Alessandro Cevenini “Il segreto è la vita”

La trama del film:

Una vacanza con gli amici nei fondali paradisiaci del Mar Rosso. Niente sembra possa andare male, visto da laggiù. Alex sorride alla vita e trasmette allegria a tutti. Al ritorno da quel viaggio, nulla sarà come prima. Il giorno del suo ventiquattresimo compleanno Alessandro si ammala di leucemia mieloide acuta, una prova che ha saputo affrontare con il coraggio della fede e la forza di chi, anche nella sofferenza, riesce a dedicarsi agli altri. Lo fa talmente bene da diventare importante sostegno per malati ai quattro angoli del pianeta, moltiplicatore di fiducia, punto di riferimento per le migliaia di membri del suo gruppo Facebook e del sito che ha fondato, Beat Leukemia. Un nome da guerriero della luce, come è stato lui.

Invito al Teatro Manzoni, 29 settembre 2023

Apertura Porte 20,30 e inizio proiezione 21,00

I posti saranno assegnati in ordine di richiesta ricevuta, fino ad esaurimento. In caso si vogliano posti vicini, è sufficiente acquistarli tutti insieme e saranno automaticamente assegnati vicini e i migliori disponibili all’interno della fascia scelta.

- Poltrona: Euro 16,00

- Poltronissima o Poltronissima Palco Privato: Euro 28,00

- Poltronissima Prestige o Poltronissima Prestige Palco Privato: Euro 44,00

Puoi riservare il tuo posto qui: https://www.beat-leukemia.org/it/sostieni-beat-leukemia/i-doni-di-beat-leukemia.asp; o se preferisci, puoi inviare un bonifico a:

ASSOCIAZIONE AMICI DI BEAT LEUKEMIA DR. ALESSANDRO CEVENINI ONLUS
IBAN: IT74Z0623020404000015122987

con Causale: “Donazione per n.XX posti poltrona/poltronissima/poltronissima prestige”, riceverai mail di conferma con i numeri dei tuoi posti da usare per l’ingresso. Buona visione!

Tutte le donazioni ricevute saranno utilizzate per i progetti di ricerca di Beat Leukemia Onlus contro i tumori del sangue.

Ciascuno si iscriva per conto proprio e poi ne dia comunicazione a Dott Maria Teresa Riccaboni per ritrovarsi al termine della proiezione per un saluto.

Maria Teresa Riccaboni

cell 3356008311