lunedì 22 gennaio 2024

Incontro di Spiritualità al Bonus Pastor di Roma

Marco Belladelli

TESTIMONI DI FEDE

Roma, 21 Gennaio 2024.

 Premessa

Capita spesso di essere interrogato sui tempi che stiamo vivendo, in modo particolare per quel che riguarda la Chiesa, dentro e fuori di essa, il suo presente, il suo futuro, i suoi orientamenti, e via dicendo … Domande che lasciano trasparire un senso di smarrimento e di inquietudine spirituale, quanto mai enfatizzati in questo particolare momento per le conseguenze della pandemia non ancora del tutto superata, dei conflitti armati in essere e dei cambiamenti umani, sociali e culturali dei nostri tempi.   

Di fronte a tanto disagio spirituale, ho sentito la necessità di approfondire cosa significa oggi essere un testimone di fede, soprattutto per una Associazione come la nostra, tra le cui finalità c’è l’impegno di animare e sensibilizzare in senso cristiano il particolare ambito professionale a cui apparteniamo.

 

Martirio e testimonianza cristiana.

 

Nel Nuovo Testamento il ‘martire’ (= testimone, dal greco: martur) non è ancora colui che sacrifica la vita per la sua fede, secondo il modo comune d’intendere questo termine, ma semplicemente il testimone di fatti accaduti e del loro significato salvifico. Infatti, la vita della Chiesa si sviluppa a partire dalla testimonianza degli Apostoli, come attesta S. Giovanni all’inizio della sua 1° lettera: Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo.” (1,1-3).

Gesù stesso aveva dato agli Apostoli a tale riguardo disposizioni molto precise: “Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8).

Essere ‘martiri’, cioè testimoni, significa quindi prima di tutto proclamare la risurrezione del Signore, professare la fede in Cristo e predicare il Vangelo, compito che oltre al coinvolgimento personale (“guai a me se non annuncio il Vangelo!” 1Cor 9,16), includeva anche il rischio della sofferenza e della morte stessa (At 22,20).

 

Soltanto all’inizio del 2° secolo il martire diventa il testimone del sangue, una connotazione dovuta alla testimonianza dei martiri di quel periodo, soprattutto di S. Ignazio d’Antiochia, martirizzato a Roma nel 107, il quale nelle sue lettere descrive la sua morte come il modo più perfetto di seguire e imitare il Signore Gesù: “Vi prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo” (Lettera ai Romani).

Un’immagine del martire rimasta fondamentalmente invariata fino ai nostri giorni, come risulta dalla definizione che ne dà il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza” (n. 2473).

 

Martirio e testimonianza rimangono di fatto due realtà strettamente legate l’uno all’altra, nel senso che non c’è martirio senza una testimonianza autenticamente cristiana, e la testimonianza implica sempre la possibilità di andare incontro a sofferenze e persecuzioni, fino al sacrificio della vita, come è avvenuto fin dall’inizio a S. Stefano (At 6,8ss) e a S. Giacomo apostolo (At 12,2).

Oggi però si parla di ‘martirio’ anche fuori lo stretto ambito cristiano. Ci sono i martiri della libertà, della democrazia, dei diritti umani e sociali, della non violenza, del libero pensiero, delle varie lotte di emancipazione e via dicendo.

I fondamentalisti islamici chiamano ‘martiri’ anche gli ‘attentatori suicidi’ del terrorismo, un accostamento e una evoluzione semantica che suscitano non pochi interrogativi e sollecitano una precisazione del concetto cristiano martire-testimone. 

 

La testimonianza cristiana.    

Tutti i battezzati sono chiamati a testimoniare la loro fede in Cristo, sempre e dovunque, ciascuno secondo il proprio stato e nella situazione concreta in cui vive. Tenendo fisso lo sguardo sull’orizzonte ultimo del nostro cammino di fede, quello cioè di un amore più forte della morte, secondo le parole di Gesù nell’ultima cena: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. (Gv 15,13), proviamo ad individuare i criteri che qualificano una testimonianza come autenticamente cristiana.

 

a)   La presenza di Dio.

All’origine della fede c’è un incontro con Gesù che ti cambia la vita; il cristiano è colui che ha trovato Cristo e vive per lui. Tutto nella sua vita è segno di questo incontro/presenza. La Testimonianza è la risposta personale di vita all’invito che il Signore Gesù ci rivolge ogni giorno: “Vieni e seguimi!” (Mt 19,21); Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mc 8,34).

Un incontro che genera in noi una ‘nuova libertà’ da tutto ciò che rappresenta condizionamento, schiavitù, oppressione e via dicendo, a livello personale, sociale, culturale o politico: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli;  conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). Una libertà per rinnovare continuamente il mondo nel segno della presenza di Dio e del suo regno.

Troviamo un luminoso esempio di questa ‘nuova libertà’ nella testimonianza del beato Franz Jägerstätter (leggi: Jegherstetter), contadino austriaco, oppositore del nazismo, ghigliottinato a Brandeburgo (Berlino) il 09/08/1943 e beatificato a Linz (Austria) il 26/10/2007, su cui nel 2019 è stato fatto anche un film, “La vita nascosta – Hidden life” del regista Terrence Malick.

Il suo avvocato d’ufficio gli dice: Firma qui e sei libero”, offrendogli la possibilità di evitare il patibolo. “Ma io sono già libero”, risponde Jägerstätter. “E allora perché siamo qui?” domanda il suo legale. “Non lo so”, risponde il contadino.

In questo breve dialogo c’è tutto il paradosso del martirio cristiano: il mondo offre la libertà a un uomo che è già libero in virtù della fede nel suo Dio, Creatore e Salvatore e dell’obbedienza alla sua coscienza (“non posso fare ciò che credo sbagliato”). E il mondo rimane alquanto sconcertato alla vista di un uomo che non risponde alle sue logiche e nemmeno al naturale richiamo dell’istinto di sopravvivenza. Lo blandisce, cerca di addomesticarlo con la persuasione, lo ricatta, inducendolo a compromessi, e vedendo fallire i propri tentativi lo imprigiona, lo tortura, cerca di piegarlo con la violenza cacciandogli in gola a forza quella libertà che non vuole ingurgitare. Perché lui è già libero.

 

b)   La vita eterna

L’altra caratteristica della testimonianza cristiana è la speranza nella vita eterna, origine della forza necessaria per andare oltre ogni limite, anche quello della morte: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Avere speranza significa vivere intensamente la propria quotidianità e nello stesso tempo essere totalmente e costantemente orientati verso la vera vita che ci attende per l’eternità, fiduciosi che Dio realizzerà quanto ha promesso. Sostenuti dalla fede, dai segni e dalle grazie che ogni giorno il Signore ci dona, viviamo nella speranza dei beni eterni.

La speranza cristiana oggi è stata profondamente indebolita dal materialismo, relativismo e individualismo imperanti nella nostra cultura e nei nostri costumi. Senza questa “Speranza che non delude” (Rm 5,5), dimensione costitutiva fondamentale della propria esistenza per chi si fa discepolo del Signore Gesù,  non c’è vita cristiana.

 

c)    Portare frutto

Come abbiamo detto sopra, l’orizzonte ultimo di questo cammino è l’amore come uscita continuata (estasi permanente) dal proprio “IO”, ripiegato su se stesso, verso la sua liberazione nel dono di sé, perché: “Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva” (Lc 17,33); e “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.” (Gv 15,5). L’amore giunge a perfezione nel dono di sé, secondo la logica della Croce.

Ogni vera ‘testimonianza’ è segno efficace dell’amore di Dio, per questo porta sempre frutti di amore, tenendo viva nel mondo la presenza di Dio e la sua opera di salvezza. Il martirio cristiano si fonda sulla certezza che il sacrificio per la verità, offerto a Dio, non è una privazione, ma genera vita, porta frutto, oltre la tentazione di misurare i risultati dell’azione e valutarne l’effetto storico attraverso le varie forme di sensibilizzazione e mobilitazione, molto in auge oggi.

Nella sua ultima lettera alla moglie prima di morire, il 09/08/1943 Jägerstätter scrive: “Ringrazio anche il nostro Salvatore perché io ho potuto soffrire per Lui. Confido nella sua infinita misericordia; spero che Egli mi abbia perdonato tutto e che non mi abbandonerà neanche nella mia ultima ora … Osservate i comandamenti e, con la grazia di Dio, ci rivedremo presto in Cielo!”.

La fecondità nell’amore esclude ovviamente gli atti terroristici-suicidi dalla categoria del ‘martirio’.

 

d)   Segno di contraddizione.

La testimonianza cristiana è sempre “segno di contraddizione” (Lc 2,33) per chi vive nella menzogna. Se accettata porta alla conversione, se rifiutata porta allo scontro con l’indifferenza o peggio ancora alla persecuzione, come annunciato nell’ultima beatitudine: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. (Mt 5,11-12).

Il testimone-martire è una persona scomoda, che disturba anche quando non parla: “Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d'incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l'educazione ricevuta” (Sap 2,12).

 

 

La testimonianza cristiana oggi.    

1.    Open Doors – Porte Aperte (https://www.porteaperteitalia.org/), l’Associazione mondiale al servizio dei cristiani perseguitati nel mondo, nel suo rapporto annuale del Gennaio 2024 parla di 356 milioni di cristiani perseguitati, di 4.125 arrestati e incarcerati senza processo, di 3.906 rapiti, di 4.998 uccisi, 13 al giorno, 14.766 chiese e altri edifici annessi attaccati, distrutti e chiusi, a cui vanno aggiunti i 40 milioni di cristiani morti ammazzati del XX secolo. E’ difficile raccogliere dati certi sugli abusi sessuali e ogni tipo di violenza in odio alla loro fede perpetrati  soprattutto verso donne e bambini. Numeri che ci fanno capire l’attualità e le dimensioni della realtà del martirio oggi nella Chiesa e nel mondo.

2.    Per “persecuzione” s’intende: “Qualsiasi ostilità subita come conseguenza dell’identificazione dell’individuo o di un intero gruppo con Cristo. Questa può includere atteggiamenti, parole e azioni ostili nei confronti dei cristiani.” Un dramma che si compie quotidianamente sotto gli occhi di tutti, nell’indifferenza generale dell’opinione pubblica, pronta ad indignarsi per qualsiasi altra questione dal discutibile valore etico, come la difesa degli animali e cose del genere.  

3.    Il doloroso disinteresse per milioni di cristiani perseguitati è dovuto soprattutto alla tiepidezza della stragrande maggioranza dei battezzati (“Poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” Ap 3,16). Gravemente e profondamente asserviti alla cultura dominante, fatta di materialismo, relativismo e individualismo, sono caduti in un vergognoso torpore delle coscienze, incapaci della benché minima reazione che non sia la difesa del proprio “ego” o la nauseante minestra riscaldata del politicamente corretto e nient’altro.

4.    Pare che non ci sia altra via d’uscita dalla situazione che stiamo vivendo, se non attraverso il martirio, situazione nella quale sarebbe riconfermata la regola di Tertulliano (155-230ca), secondo il quale persecuzione e martirio sono sempre la fonte di una nuova missione della Chiesa per i nuovi cristiani: Noi ci moltiplichiamo ogni volta che da voi siamo mietuti: il sangue dei cristiani è un seme” (Plures efficimur quoties metimur a vobis: semen est sanguis christianorum  Apologetico 50,13). Una prospettiva che non può lasciarci indifferenti, sulla quale è necessario riflettere per capire in concreto che cosa significhi e che cosa ci aspetta.

5.    Del resto, le questioni che oggi tengo banco all’interno della Chiesa non sono certo il martirio di milioni di fratelli di fede e neppure la ricerca di nuove forme di evangelizzazione o delle vie per la santità personale e comunitaria, quanto piuttosto i temi della contro-testimonianza, quali lo scandalo della pedofilia, dell’omertà di chi lo ha coperto, il problema delle copie irregolari e della loro ammissione ai sacramenti, il matrimonio dei preti, il diaconato e sacerdozio femminile, il goffo tentativo di omologare, almeno in parte, costumi e comportamenti del cosiddetto mondo LGBT. 

6.    Anche la pandemia invece di trasformarsi in occasione per un formidabile slancio missionario della Chiesa, ha messo in evidenza la sua quasi totale paralisi, prontissima ad adeguarsi alla serrata generale, prima ancora di interrogarsi ed impegnarsi a comunicare e diffondere “l’amore più grande” (Gv 15,13) e “la Speranza che non delude” (Rm 5,5) del suo Salvatore, ritagliandosi un ruolo di comparsa accanto alle autorità civili e limitandosi alla trasmissione di sterili celebrazioni in streaming, utili più a soddisfare la curiosità morbosa di molti, che non a nutrire la loro fede, finendo per allontanare molti cristiani dalla pratica sacramentale.  

7.   Annunciare, celebrare e servire il Vangelo del Regno di Dio in un contesto di indifferenza generale qual è quello che ci circonda, significa favorire la guarigione delle fragilità e delle vulnerabilità di cui soffrono gli uomini e le donne del nostro tempo, per far rinascere nei loro cuori il desiderio di Dio, del suo amore misericordioso, più forte della morte. 

 

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