Marco
Belladelli
TESTIMONI DI FEDE
Roma, 21 Gennaio 2024.
Premessa
Capita spesso di essere
interrogato sui tempi che stiamo vivendo, in modo particolare per quel che
riguarda la Chiesa, dentro e fuori di essa, il suo presente, il suo futuro, i
suoi orientamenti, e via dicendo … Domande che lasciano trasparire un senso di
smarrimento e di inquietudine spirituale, quanto mai enfatizzati in questo
particolare momento per le conseguenze della pandemia non ancora del tutto
superata, dei conflitti armati in essere e dei cambiamenti umani, sociali e
culturali dei nostri tempi.
Di fronte a tanto disagio spirituale, ho sentito la necessità di approfondire cosa significa oggi essere un testimone di fede, soprattutto per una Associazione come la nostra, tra le cui finalità c’è l’impegno di animare e sensibilizzare in senso cristiano il particolare ambito professionale a cui apparteniamo.
Martirio e testimonianza
cristiana.
Nel Nuovo Testamento il ‘martire’ (= testimone, dal
greco: martur) non è ancora colui che sacrifica la vita per la
sua fede, secondo il modo comune d’intendere questo termine, ma semplicemente
il testimone di fatti accaduti e del loro significato salvifico. Infatti, la
vita della Chiesa si sviluppa a partire dalla testimonianza degli Apostoli,
come attesta S. Giovanni all’inizio della sua 1° lettera: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito,
quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le
nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò
diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e
che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a
voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con
il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo.”
(1,1-3).
Gesù
stesso aveva dato agli Apostoli a tale riguardo disposizioni molto precise:
“Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me
sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai
confini della terra” (At 1,8).
Essere
‘martiri’, cioè testimoni, significa quindi prima di tutto proclamare la
risurrezione del Signore, professare la fede in Cristo e predicare il Vangelo,
compito che oltre al coinvolgimento personale (“guai a me se non annuncio il Vangelo!” 1Cor 9,16), includeva anche il
rischio della sofferenza e della morte stessa (At 22,20).
Soltanto
all’inizio del 2° secolo il martire
diventa il testimone del sangue, una connotazione dovuta alla testimonianza dei
martiri di quel periodo, soprattutto di S. Ignazio d’Antiochia, martirizzato a
Roma nel 107, il quale nelle sue lettere descrive la sua morte come il modo più
perfetto di seguire e imitare il Signore Gesù: “Vi
prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che sia pasto
delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento
di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. Piuttosto
accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio
corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù
Cristo”
(Lettera ai Romani).
Un’immagine
del martire rimasta fondamentalmente invariata fino ai nostri giorni, come
risulta dalla definizione che ne dà il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il
martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è
un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo morto
e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della
fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza” (n. 2473).
Martirio e testimonianza rimangono di fatto due realtà
strettamente legate l’uno all’altra, nel senso che non c’è martirio senza una
testimonianza autenticamente cristiana, e la testimonianza implica sempre la
possibilità di andare incontro a sofferenze e persecuzioni, fino al sacrificio
della vita, come è avvenuto fin dall’inizio a S. Stefano (At 6,8ss) e a S.
Giacomo apostolo (At 12,2).
Oggi
però si parla di ‘martirio’ anche fuori lo stretto ambito cristiano. Ci sono i
martiri della libertà, della democrazia, dei diritti umani e sociali, della non
violenza, del libero pensiero, delle varie lotte di emancipazione e via
dicendo.
I
fondamentalisti islamici chiamano ‘martiri’ anche gli ‘attentatori suicidi’ del
terrorismo, un accostamento e una evoluzione semantica che suscitano non pochi
interrogativi e sollecitano una precisazione del concetto cristiano
martire-testimone.
La testimonianza cristiana.
Tutti i battezzati sono chiamati a
testimoniare la loro fede in Cristo, sempre e dovunque, ciascuno secondo il
proprio stato e nella situazione concreta in cui vive. Tenendo fisso lo sguardo
sull’orizzonte ultimo del nostro cammino di fede, quello cioè di un amore più
forte della morte, secondo le parole di Gesù nell’ultima cena: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i
propri amici.” (Gv 15,13), proviamo ad individuare i criteri che
qualificano una testimonianza
come autenticamente cristiana.
a) La presenza di Dio.
All’origine
della fede c’è un incontro con Gesù che ti cambia la vita; il cristiano è colui
che ha trovato Cristo e vive per lui. Tutto nella sua vita è segno di questo
incontro/presenza. La Testimonianza è la risposta personale di vita all’invito
che il Signore Gesù ci rivolge ogni giorno: “Vieni
e seguimi!”
(Mt 19,21); “Se qualcuno vuol venire
dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34).
Un
incontro che genera in noi una ‘nuova libertà’ da tutto ciò che rappresenta
condizionamento, schiavitù, oppressione e via dicendo, a livello personale,
sociale, culturale o politico: “Se rimanete nella mia
parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). Una libertà per
rinnovare continuamente il mondo nel segno della presenza di Dio e del suo
regno.
Troviamo
un luminoso esempio di questa ‘nuova libertà’ nella testimonianza del beato
Franz Jägerstätter
(leggi: Jegherstetter), contadino austriaco, oppositore del nazismo, ghigliottinato a
Brandeburgo (Berlino) il 09/08/1943 e beatificato a Linz (Austria) il
26/10/2007, su cui nel 2019 è stato fatto anche un film, “La vita nascosta –
Hidden life” del regista Terrence Malick.
Il suo avvocato
d’ufficio gli dice:
“Firma qui e sei libero”, offrendogli la possibilità di evitare
il patibolo. “Ma io sono già libero”,
risponde Jägerstätter. “E allora perché siamo qui?” domanda il suo legale. “Non lo so”, risponde il contadino.
In questo breve
dialogo c’è tutto il paradosso del martirio cristiano: il mondo offre la
libertà a un uomo che è già libero in virtù della fede nel suo Dio, Creatore e
Salvatore e dell’obbedienza alla sua coscienza (“non posso fare ciò che credo sbagliato”). E il mondo rimane
alquanto sconcertato alla vista di un uomo che non risponde alle sue logiche e
nemmeno al naturale richiamo dell’istinto di sopravvivenza. Lo blandisce, cerca
di addomesticarlo con la persuasione, lo ricatta, inducendolo a compromessi, e
vedendo fallire i propri tentativi lo imprigiona, lo tortura, cerca di piegarlo
con la violenza cacciandogli in gola a forza quella libertà che non vuole
ingurgitare. Perché lui è
già libero.
b) La vita eterna
L’altra
caratteristica della testimonianza cristiana è la speranza nella vita eterna,
origine della forza necessaria per andare oltre ogni limite, anche quello della
morte: “Dio infatti ha tanto
amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non
vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Avere speranza significa vivere
intensamente la propria quotidianità e nello stesso tempo essere totalmente e
costantemente orientati verso la vera vita che ci attende per l’eternità,
fiduciosi che Dio realizzerà quanto ha promesso. Sostenuti dalla fede, dai
segni e dalle grazie che ogni giorno il Signore ci dona, viviamo nella speranza
dei beni eterni.
La speranza cristiana oggi è
stata profondamente indebolita dal materialismo, relativismo e individualismo
imperanti nella nostra cultura e nei nostri costumi. Senza questa “Speranza che non delude” (Rm 5,5), dimensione costitutiva
fondamentale della propria esistenza per chi si fa discepolo del Signore
Gesù, non c’è vita cristiana.
c)
Portare frutto
Come
abbiamo detto sopra, l’orizzonte ultimo di questo cammino è l’amore come uscita
continuata (estasi permanente) dal proprio “IO”, ripiegato su
se stesso, verso la sua liberazione nel dono di sé, perché: “Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi
la perderà, la manterrà viva” (Lc 17,33); e “Chi rimane in me, e
io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete
far nulla.”
(Gv 15,5). L’amore giunge a perfezione nel dono di sé, secondo la logica della
Croce.
Ogni
vera ‘testimonianza’ è segno efficace dell’amore di Dio, per questo porta
sempre frutti di amore, tenendo viva nel mondo la presenza di Dio e la sua
opera di salvezza. Il martirio
cristiano si fonda sulla certezza che il sacrificio per la verità, offerto a
Dio, non è una privazione, ma genera vita, porta frutto, oltre la tentazione di
misurare i risultati dell’azione e valutarne l’effetto storico attraverso le
varie forme di sensibilizzazione e mobilitazione, molto in auge oggi.
Nella sua ultima
lettera alla moglie prima di morire, il 09/08/1943 Jägerstätter scrive: “Ringrazio anche il nostro Salvatore perché
io ho potuto soffrire per Lui. Confido nella sua infinita misericordia; spero
che Egli mi abbia perdonato tutto e che non mi abbandonerà neanche nella mia
ultima ora … Osservate i comandamenti e, con la grazia di Dio, ci rivedremo
presto in Cielo!”.
La
fecondità nell’amore esclude ovviamente gli atti terroristici-suicidi dalla
categoria del ‘martirio’.
d) Segno di contraddizione.
La
testimonianza cristiana è sempre “segno di contraddizione” (Lc 2,33) per chi vive nella
menzogna. Se accettata porta alla conversione, se rifiutata porta allo scontro
con l’indifferenza o peggio ancora alla persecuzione, come annunciato
nell’ultima beatitudine: “Beati voi quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro
di voi per causa mia. Rallegratevi ed
esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. (Mt 5,11-12).
Il
testimone-martire è una persona scomoda, che disturba anche quando non parla: “Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d'incomodo e si
oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci
rinfaccia le trasgressioni contro l'educazione ricevuta” (Sap 2,12).
La testimonianza cristiana
oggi.
1.
Open Doors – Porte Aperte
(https://www.porteaperteitalia.org/), l’Associazione mondiale al servizio dei
cristiani perseguitati nel mondo, nel suo rapporto annuale del Gennaio 2024
parla di 356 milioni di cristiani perseguitati, di 4.125 arrestati e
incarcerati senza processo, di 3.906 rapiti, di 4.998 uccisi, 13 al giorno,
14.766 chiese e altri edifici annessi attaccati, distrutti e chiusi, a cui
vanno aggiunti i 40 milioni di cristiani morti ammazzati del XX secolo. E’
difficile raccogliere dati certi sugli abusi sessuali e ogni tipo di violenza
in odio alla loro fede perpetrati soprattutto verso donne e bambini. Numeri che
ci fanno capire l’attualità e le dimensioni della realtà del martirio oggi
nella Chiesa e nel
mondo.
2. Per “persecuzione” s’intende: “Qualsiasi ostilità subita come conseguenza
dell’identificazione dell’individuo o di un intero gruppo con Cristo. Questa
può includere atteggiamenti, parole e azioni ostili nei confronti dei cristiani.” Un dramma che si compie quotidianamente sotto gli
occhi di tutti, nell’indifferenza generale dell’opinione pubblica, pronta ad
indignarsi per qualsiasi altra questione dal discutibile valore etico, come la
difesa degli animali e cose del genere.
3.
Il doloroso disinteresse per milioni di cristiani
perseguitati è dovuto soprattutto alla tiepidezza della stragrande maggioranza
dei battezzati (“Poiché sei tiepido,
non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” Ap 3,16). Gravemente e
profondamente asserviti alla cultura dominante, fatta di materialismo,
relativismo e individualismo, sono caduti in un vergognoso torpore delle
coscienze, incapaci della benché minima reazione che non sia la difesa del
proprio “ego” o la nauseante minestra riscaldata del politicamente corretto e nient’altro.
4.
Pare che non ci sia altra via
d’uscita dalla situazione che stiamo vivendo, se non attraverso il martirio,
situazione nella quale sarebbe riconfermata la regola di Tertulliano (155-230ca), secondo il quale persecuzione e martirio
sono sempre la fonte di una nuova missione della Chiesa per i nuovi cristiani: “Noi ci moltiplichiamo ogni volta che da
voi siamo mietuti: il sangue dei cristiani è un seme” (Plures efficimur quoties
metimur a vobis: semen est sanguis christianorum Apologetico 50,13). Una prospettiva che non può
lasciarci indifferenti, sulla quale è necessario riflettere per capire in
concreto che cosa significhi e che cosa ci aspetta.
5.
Del resto, le questioni che oggi tengo banco
all’interno della Chiesa non sono certo il martirio di milioni di fratelli di
fede e neppure la ricerca di nuove forme di evangelizzazione o delle vie per la
santità personale e comunitaria, quanto piuttosto i temi della
contro-testimonianza, quali lo scandalo della pedofilia, dell’omertà di chi lo
ha coperto, il problema delle copie irregolari e della loro ammissione ai
sacramenti, il matrimonio dei preti, il diaconato e sacerdozio femminile, il
goffo tentativo di omologare, almeno in parte, costumi e comportamenti del
cosiddetto mondo LGBT.
6.
Anche la pandemia invece di trasformarsi in
occasione per un formidabile slancio missionario della Chiesa, ha messo in
evidenza la sua quasi totale paralisi, prontissima ad adeguarsi alla serrata
generale, prima ancora di interrogarsi ed impegnarsi a comunicare e diffondere
“l’amore più grande” (Gv 15,13) e “la Speranza che non delude” (Rm 5,5) del suo
Salvatore, ritagliandosi un ruolo di comparsa accanto alle autorità civili e
limitandosi alla trasmissione di sterili celebrazioni in streaming, utili più a
soddisfare la curiosità morbosa di molti, che non a nutrire la loro fede,
finendo per allontanare molti cristiani dalla pratica sacramentale.
7. Annunciare, celebrare e servire il Vangelo del Regno di Dio in un contesto di indifferenza generale qual è quello che ci circonda, significa favorire la guarigione delle fragilità e delle vulnerabilità di cui soffrono gli uomini e le donne del nostro tempo, per far rinascere nei loro cuori il desiderio di Dio, del suo amore misericordioso, più forte della morte.
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